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"Lobbista, una professione trendy". Francesco Delzio sul Corriere.it
Scritto il 2016-07-06 da Redazione su Interviste

Parla l’ideatore del Master in relazioni istituzionali, lobby e comunicazione d’impresa alla Luiss: «L’attività di lobby era considerata sterco del diavolo, non era inusuale trovare chi la equiparasse al malaffare. Adesso, invece, è una professione trendy»

C’era una volta una professione considerata «sterco del diavolo». E che adesso è diventata trendy. Grazie anche a una scuola che sta cambiando la formazione dei lobbisti, adesso più orientata al modello anglosassone secondo cui chi fa lobby cerca di spiegare in maniera semplice il funzionamento di mercati complessi e non è visto, dall’opinione pubblica, vicino al malaffare. Ne è convinto Francesco Delzio, ideatore del Master in relazioni istituzionali, lobby e comunicazione d’impresa alla Luiss e direttore relazioni esterne, affari istituzionali e marketing del gruppo Atlantia e di Autostrade per l’Italia (ma il ruolo aziendale non ha alcun legame con la «scuola dei lobbisti»).

Dottor Delzio, fino a dieci anni fa era inimmaginabile una «scuola di lobbisti». Come è nata l’idea e come si è modificata la percezione di questa attività?

«Ho ideato e fondato il Master 7 anni fa, insieme a un gruppo di manager riuniti nell’Associazione laureati Luiss — di cui ero presidente all’epoca — per colmare un “vuoto di mercato” nel mondo della formazione universitaria. Fin dall’inizio il progetto è stato realizzato con il professor Alberto Petrucci, che dirige con me il Master, e a partire dall’anno scorso con il professor Paolo Boccardelli, direttore della Luiss Business School».

Qual era il vuoto di mercato?

«Il bisogno diretto delle aziende: erano stanche di cercare dei portaborse a cui affidare l’analisi degli effetti di una normativa sul loro business».

Attività che veniva mal vista dall’opinione pubblica.

«Certamente: l’attività di lobby era considerata sterco del diavolo, non era inusuale trovare chi la equiparasse al malaffare. E invece il modello americano e anglosassone dimostra che c’è un modo trasparente di fare lobby».

Lobby trasparente sembra un ossimoro.

«E invece nella visione americana è proprio così. L’attività di lobbying è efficace quando diventa trasparente, quando unisce l’interesse di parte del lobbista con gli interessi generali del Paese. Il problema è che l’Italia arriva con 50 anni di ritardo».

Rispetto agli Stati Uniti?

«Eh sì. John Fitzgerald Kennedy diceva che “i lobbisti sono quelle persone che per farmi comprendere un problema impiegano 10 minuti, mentre per lo stesso problema i miei collaboratori impiegano 3 giorni ”».

Purché se ne abbiano le competenze, però.

«È quello che proviamo a fare con il Master, anticipando la normativa che a livello nazionale ancora non c’è. Il gestore dei rapporti pubblico-privato deve conoscere il diritto e l’economia per poter misurare gli effetti di un emendamento sui conti di un’azienda o sul Pil del Paese; ma deve anche saper creare il consensus building, ovvero costruire il consenso per unire un’istanza di parte all’interesse generale del Paese».

Il gestore per antonomasia dei rapporti pubblico-privato è Confindustria. La nuova presidenza Boccia, secondo lei, come si posiziona nel dibattito molto acceso in Italia sulla volontà politica di regolamentare le lobby?

«A partire dagli anni ‘90, Confindustria ha interpretato per prima in Italia questa nuova visione del lobbying e del rapporto pubblico-privato. Oggi la presidenza di Boccia — che con la sua storia aziendale rappresenta l’ideal-tipo dell’impresa italiana — ha la possibilità di far fare a Confindustria un ulteriore salto di qualità: sostanzialmente finita l’era della concertazione, Confindustria ha le competenze e l’autorevolezza per giocare d’anticipo rispetto alla politica e per diventare un grande “cantiere delle policy” industriali, economiche, fiscali e del lavoro, al servizio delle imprese e al tempo stesso del Paese». Quanti lobbisti avete formato in 7 anni? «Ne abbiamo formati e portati nelle aziende circa 200. Il Master ha una selezione all’ingresso e la metà dei pretendenti, che aumenta di anno in anno, resta fuori. Adesso fare il lobbista è diventato di moda, è una professione trendy».

Fonte: Michelangelo Borrillo, Corriere.it

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