Nicolò Scarano intervista Massimo Micucci, senior consultant di Quick Top, un marchio Reti.
Lo scenario di delusione e di incertezza che ha accompagnato il nuovo accordo di due settimane fa tra Grecia ed Europa ha aperto, tra gli “addetti ai lavori”, un ragionamento più ampio sul potere e le sue dinamiche. Come pensa questo si andrà a riflettere nel rapporto tra lobbisti e policy-makers?
I lobbisti e tutti coloro che portano degli interessi sono sempre più dei policy-makers. Nel caso greco questo è stato ancora più evidente. Non solo economisti, politici, tecnici, ma anche il più grande speculatore sui cambi, il miliardario Soros, è stato molto attivo. Molti premi Nobel hanno appoggiato l’OXI, dimostrando assieme di voler contrastare le politiche di austerità e quindi affermare le loro teorie, al tempo stesso mantenendo viva l’ipotesi di uscita dall’euro.
Ma cosa ne viene ai professori?
Ai professori la conferma delle proprie tesi, semplicemente. Ma chi conosce la situazione sa che ci sono una serie di interessi che gravitano attorno a questi grandi fenomeni economici studiati dagli analisti. Chi fa speculazioni legittime sui cambi, lavorando su grandi transizioni finanziarie, non si vergogna, giustamente - ci tiene a specificare - di essere anche un grosso influencer politico. Soros ha influenzato l’uscita dallo SME della lira e della sterlina, e oggi rifà capolino per la crisi greca. Chi fa lobbying deve tenere conto di questo sfondo internazionale: gli interessi globali sono strettamente legati a quelli locali.
E la politica, in tutto questo?
Secondo me c’è un ritorno di grandi visioni politiche in questi anni, ma la politica appunto, in un mondo globale, deve saper tener conto dei grandi interessi privati. Un governo decisionista come quello di Renzi, ad esempio, è molto interessato - e capace - ad attrarre interessi privati, mentre le ipotesi identitarie - come il M5S, o Podemos in Spagna - sono più concentrate ai piccoli interessi, ai centri produttivi che non raggiungono economie di scala. Non si può non tener conto di queste dinamiche: per questo un lobbista è oggi è anche un comunicatore, ma soprattutto un ottimo conoscitore del funzionamento del potere.
Cosa intende per funzionamento del potere? E perché più oggi che prima?
Beh, c’è stato un cambiamento evidente nel modo in cui funziona il potere. Che ora si basa su reti di responsabilità complesse, relazioni, interdipendenze orizzontali. Mentre prima era più verticale e nazionale. Ovviamente ci sono delle gerarchie, ma la decisione, e il modo di prenderle, è più complessa. Qui entra in gioco l’importanza della comunicazione: nella decisione dell’agenda pubblica, che non avviene più nei Parlamenti ma nella sfera pubblica.
E cosa può fare il lobbista in questo campo?
Il lobbista, per incidere sulle decisioni al giorno d’oggi, dev’essere in grado di imporre un tema all’ordine del giorno dell’agenda pubblica. Mettere in correlazione casi e bisogni concreti con lo scenario politico, e produrre contenuti che servano allo scopo. Anche i luoghi dell’attività di lobbying, debbono diventare sempre più pubblici. Immagino un’interazione collaborativa fra interessi e decisori su questi contenuti, progressivamente più trasparente.
Insomma, andiamo dai caminetti fumosi a una specie di streaming della combinazione di interessi privati e politici?
Sì, esatto, da un “accesso grigio” alle Istituzioni a una maggiore importanza della sfera pubblica. Dove gli interessi e i conflitti tra gli interessi sono più trasparenti: questo mette in condizione il decisore politico di scegliere anche di fronte ai cittadini.
..anche secondo un calcolo politico?
Sì, il politico decide quelli che ritiene siano gli interessi generali da difendere o da portare avanti, e questi necessariamente ne andranno a ledere almeno in parte altri. Il problema qual è? Che oggi i cittadini spesso non sono consapevoli di quali sono gli interessi in gioco. Invece esistono tanti interessi particolari, ognuno in contrasto con un altro.
Vogliamo sfatare il mito dell’interesse comune?
L’interesse comune è una scelta, è il risultato di una scelta. Ma no, non fa bene tutti. E’ quello che la politica crede sia l’interesse nazionale, generale. A volte si decide in una direzione, a volte in un’altra. Per tornare alle capacità del lobbista di oggi, questo deve quindi necessariamente godere di una capacità di analisi su diversi piani decisionali contemporanei, sempre più complessi ma con esigenze crescenti di semplificazione e rapidità. Ma anche di analisi politico-strategica, che non si limiti a quella delle procedure delle Istituzioni, e poi una capacità di comunicazione e agenda-setting.
Era più semplice, prima, fare il lobbista?
Prima era probabilmente più lineare: significava saper influenzare le persone giuste. Il potere veniva dall’alto verso il basso, a cercare gli interessi da sostenere. Un lobbismo diverso e una politica diversa, oggi, dunque rispondono alla complessità.
Quindi cosa suggerisce, infine, per la formazione del lobbista contemporaneo?
Dev’essere molto solido lo studio sui processi decisionali, in continua trasformazione ed evoluzione. Secondo, una capacità d’intelligenza e scelta politica, anche sul piano tecnico del policy-making. Terzo, una capacità di scendere nella sfera pubblica, comunicando a target non necessariamente ristretti ma selezionati, grazie ad un uso molto attento, ad esempio, dei social media. E’ quello che io definisco lobbying diffuso.
E cosa ne è del grassroots lobbying invece?
Il grassroots lobbying comprendeva in sé una concezione verticale: erano i leader che andavano a “pescare” queste radici da cui prendere consenso. Ora abbiamo una serie di reti che si intrecciano, collaborano, confliggono: è molto vicina al movimento dei makers, solo che al posto di oggetti con le stampanti 3D si producono decisioni, senza nascondersi. E’ a quest’ultima innovativa capacità che guardiamo con i corsi Running.
Esatto, in questi anni con la sua società, Running, ha formato molti giovani lobbisti. Quest’anno avete deciso di rilanciare l'offerta e dar vita alla Running Academy: perché?
In 13 anni di attività abbiamo formato più di mille persone, ragazzi desiderosi di diventare in primis lobbisti, ma anche manager. È per questo che nel 2015 abbiamo deciso di dar vita alla Running Academy, una scuola di alta formazione che progetta percorsi formativi dinamici e dallo stampo molto pratico. Comunicazione, lobby, politica, monitoraggio parlamentare e drafting legislativo sono da sempre oggetto dei nostri corsi: il nostro programma base è giunto quest'anno alla 27esima edizione. Ora siamo aggiornati con le trasformazioni che hanno caratterizzato il rapporto tra pubblico e privato e la necessità di organizzare corsi sul fundraising politico, sulla legge di bilancio e su come cambierà l’attività di lobbying con l’Italicum. Un altro punto di forza della Academy è il Comitato scientifico che supporta le nostre attività formative.
Qualche nome?
Giorgia Abeltino di Google, Alessandro Beulcke, Presidente Nimby Forum, Vittorio Cino di Coca-Cola Italia, Francesco Clementi, Tommaso Labate, Giuseppe Meduri di Enel, Gianbattista Vittorioso di Finmeccanica, Paolo Messa, Iolanda Romano, Gianluca Semprini, Chicco Testa...
I prossimi corsi in calendario?
A settembre il corso “La legge di bilancio” e a ottobre il corso “Lobby e italicum”.
Ma tornando alla formazione dei più giovani, quali le qualità di un ragazzo che vuole fare attività di lobbying?
Secondo me deve avere: passione e rispetto per la politica, una formazione solida in campo giuridico ed economico, e una forte propensione alle reti di informazione e comunicazione. Il paradosso è che spesso siano i comunicatori a voler fare lobbying, ma il know-how fondamentale sta nel saper entrare nel merito dei processi decisionali. Ma su come funzionano le consuetudini delle Amministrazioni, del Parlamento, ho un’opinione: molto s’impara con l’esperienza, dedizione, e pura e semplice passione.
Per ulteriori informazioni, contattare Stefano Ragugini, responsabile della formazione di Running, all'indirizzo s.ragugini@retionline.it. Lo trovate anche su Twitter: @sragugini