Su Formiche raccontiamo - con la dovuta sintesi adeguata a quel sito - il convegno organizzato dal viceministro per le Infrastrutture e i Trasporti, Riccardo Nencini, in quel di Firenze
Di seguito invece ecco tutto ciò che è stato detto dai presenti al dibattito sul tema "Regolamentazione dell'attività di lobby".
Tutto esaurito al Palazzo Medici Ricciardi per ascoltare il dibattito sulla “Regolamentazione dell’attività di lobby” organizzato dal Viceministro per le Infrastrutture e i Trasporti Riccardo Nencini, che per l’occasione ha chiamato in Italia Tony Podesta, il “super lobbista” (cit. Newsweek) a raccontare “il modello americano di lobbying”
Dopo il saluto del padrone di casa, il Presidente della Provincia (ma quindi esiste ancora!) Andrea Balducci, il benvenuto a Podesta lo dà in un ottimo inglese Chiara Moroni, ex deputata PdL (da parlamentare ha presentato varie proposte sul lobbying) ed oggi docente di comunicazione e oggi lobbista, che spiega cosa sia e cosa forse debba essere l’attività di lobby, e racconta.
“Perché in Italia non si è mai fatta [la regolamentazione del lobbying]? Innanzitutto la pressione più forte è arrivata sempre dall’apparato pubblico. Quando ad esempio in una mia proposta oltre agli obblighi per i lobbisti inserii anche diritti in termini di trasparenza (accesso agli atti, ecc.). A quel punto gli uffici della Camera si opposero affermando che per l’autodichia la Camera non poteva gestire il processo legislativo in totale trasparenza. Bene quindi la regolamentazione, ma si faccia però attenzione a non finire in un eccesso di regolamentazione, che rischierebbe di spingere a continui aggiramenti. Un approccio molto italiano: sappiamo che non sappiamo ben controllare e allora normiamo tutto. Ma è un sistema che non funziona, tanto meno nelle relazioni tra istituzioni e sistemi produttivi. Trasparenza e reciprocità sono le parole da cui partire, oltre a superare una diffusa cultura anti impresa, perché le imprese sono in grado di aiutare la politica a legiferare”.
Il guru dei lobbisti (definizione della moderatrice, la giornalista dell'Huffington Post Claudia Fusani) a Washington controlla tutto, è uno che conosce stanze e corridoi. Tra i suoi ultimi clienti anche il governo dell’Iraq. Ma più che dal Congresso Podesta sembra colpito dagli affreschi della splendida sala della Provincia.
“L’Italia ha avuto un governo all’anno dal 1948, ma sono convinto che il Governo Renzi possa reggere, e possa davvero cambiare le cose. Ha ricevuto un mandato chiaro, simile a quello che ricevette Obama nel 2008: ‘Hope and Change’. Un messaggio davvero potente. Nei primi anni ’90 Tangentopoli cambiò completamente il sistema. Anche negli USA si parla continuamente del tema della corruzione, riferendosi anche al lobbying. A Washington ci sono 18.000 lobbisti registrati, qualcuno suggerisce che siamo come scarafaggi. A Roma non saranno così tanti. Il numero dei lobbisti sta crescendo ancora a DC e lo stesso sta accadendo nelle capitali degli Stati. Tutti hanno lobbisti: anziani, bambini, poveri, ricchi. Chiunque ha qualcuno che rappresenta i suoi interessi a Washington. La maggior parte dei lobbisti rispetta le regole, lavora in modo etico per conto dei soggetti che rappresentano. Ci sono ovviamente lobbisti corrotti, come c’è corruzione in ogni altra istituzione americana: dal mondo del business a quello della legge, dalla chiesa all’educazione. Nessun settore è puro. Gli USA stanno tentando di regolare il lobbying attraverso un sistema di disclosure, che obbliga i lobbisti a redigere un report su ogni cliente, con inclusa la cifra che ricevono per rappresentarli. L’Amministrazione Obama ha provato a dire che non avrebbe assunto alcun lobbista registrato. La conseguenza è stata che i lobbisti hanno smesso di registrarsi! Diventando persone quindi che non rispettano le regole, o che trovano scappatoie, ma che possono essere assunte dall’Amministrazione. Il capo dello staff era un lobbista sino ad un paio di giorni fa. E il numero dei lobbisti registrati per la prima volta ha iniziato a scendere, a dimostrazione che le riforme possono portare ad aggirare la legge. Un’area grigia è nel finanziamento della politica, un tema sul quale siamo passati attraverso riforme a ondate. Recentemente la Corte Suprema ha deciso di dare il via ai finanziamenti da parte di individui e corporation senza limiti”.
Podesta poi riparte dal Watergate: “Gola profonda disse a Woodward e Bernstein del Washington Post ‘Follow the money’. E anche oggi seguire i soldi è il modo migliore per capire alcuni passaggi politici. In Italia il rapporto tra soldi e politici a Roma esiste da millenni. Non so se l’esperienza americana possa essere di aiuto, ma la definizione di lobbying dovrebbe coprire tutto ed essere pienamente trasparente. Va evitato in ogni modo che ci sia una parte trasparente ed una no, tanto più per il finanziamento della politica, cosa che invece accade in America oggi”.
Claudia Fusani poi si perde nel parlare dei lobbisti, principalmente “ragazzetti che riportano”, che si appropinquano davanti alle Commissioni più gettonate (Bilancio, Industria, ecc.). Si dimentica però di dire che lei e i suoi colleghi fanno esattamente la stessa cosa, e come in realtà non sia quello il lobbying vero.
Palla al viceministro Nencini, che da presidente del Consiglio Regionale riuscì ad ottenere la prima (discutibile) norma italiana sul lobbying, per quanto diversa da quella che avrebbe voluto lui, e che ora ci riprova cercando di passare attraverso la riforma del Codice degli Appalti inserita in una legge delega in corso di discussione alle Camere.
“Perché non si è normata l’attività di lobbying? Dobbiamo partire dall’ipocrisia delle due culture [cattolica e comunista] che hanno governato il paese per 50 anni. Due culture per le quali del profitto non si poteva parlare, e quindi anche l’interlocuzione ufficiale con il mondo degli affari era considerata disdicevole. Basti dare un’occhiata ai vecchi Statuti regionali, il cui unico riferimento all’impresa era quasi solo a quella cooperativa per la sua ‘funzione sociale’. Le lobby in Italia ci sono, hanno nome e cognome, ti chiedono appuntamenti e promettono regalie [ma chi incontra, signor viceministro? NdR]. Siamo ormai senza una norma sul finanziamento pubblico della poltiica, oggi ancora più impellente. Senza finanziamento pubblico l’unico modo per i partiti di finanziarsi è rivolgersi ‘al mercato’. È quindi necessario rendere trasparente il sistema. Che fare? Per rendere trasparente il percorso ci sono varie modalità. A Camera e Senato ci sono varie proposte, una anche mia. La trasparenza è quindi in testa agli obiettivi, a pari merito con le ‘pari opportunità’ di accesso delle diverse lobby. Va superato il concetto di Governo amico. Guardate come è aumentato il numero dei decreti legge e l’apposizione della fiducia. Un sistema che restringe n gran parte al solo Governo, ai ministri, la normazione. Ma mettere la fiducia su un atto, l’atto uscito dall’organo decisore non è modificabile. Di conseguenza devi intervenire prima, sul Governo. C’è chi può? Certo che c’è, e spesso non chiede nemmeno per favore. È necessario avere un Registro, anche se - come ha spiegato Podesta - negli USA il numero dei lobbisti registrati sta diminuendo. Rispetto all’esperienza USA vanno quindi fatti dei correttivi, accompagnati da un'approfondita analisi dell’impatto della norma [ma l’AIR non esiste già? NdR].
Poi Nencini inizia a parlare in toscano e in terza persona, in omaggio a Benigni: ‘Pole non pole un alto dirigente incontrare un’impresa? E se pole, come pole’, facendo riferimento agli alti burocrati dello Stato. Perché la cosa da regolamentare non è l’incontro del Nencini, in quanto senza regolare l’incontro dell’alto burocrate – che resta lì anche quando il Nencini se ne va – non serve. Vanno quindi create, anche meglio applicando Codici Deontologici che già esistono, norme più accuminate. Il codice degli Appalti certo non esaurirà il tema della regolamentazione delle lobby, che dovrà coordinarsi con le proposte in Parlamento, ma in ogni caso dimostra che il tema è nell’agenda del governo Renzi. ”.
Claudia Fusani ricorda come il tentativo di Enrico Letta fu bloccato in Consiglio dei Ministri “dopo aver sentito le grandi imprese” (non è andata proprio così...). Inevitabile quindi la chiamata in causa di Patrizia Rutigliano (Direttore Relazioni Istituzionali e Comunicazione di SNAM, e presidente di FERPI) che ricorda subito a quanti codici e procedure debbono seguire le imprese, specie quelle grandi, nelle loro operazioni.
“Codice etico, normativa ex 231, compliance, procedura rapporti PA, procedura sponsorizzazioni, Anti Bribery Act, Anti-Corruption Act. Inoltre ci sono controlli e audit continue. Sono tutte regole che dovrebbero essere seguite con lo stesso rigore al decisore pubblico. Ciò che infatti ha portato non arrivare mai ad una decisione – ricordando ad es. il caso del ddl Santagata – è stata sempre l’opposizione del decisore pubblico, che deve prendere una decisione ma farlo in maniera trasparente. Reciprocità è la parola giusta. Il problema è dalla parte del pubblico. Servono regole per l’accesso alla professione. Un processo trasparente poi porta ad una riduzione dei tempi di decisione. Infine, se tutto fosse trasparentemente accessibile via web si avrebbe un forte snellimento burocratico. Il digitale e i rapporti istituzionali sono i servizi più richiesti dalle imprese”.
Ralph Fassey, amministratore delegato di Lundbeck Italia, società farmaceutica.
“Dobbiamo facilitare i rapporti non coi politici, ma nel nostro caso con un’agenzia che regola i farmaci, che non consente il contatto con le singole aziende. Il farmaceutico fa il 70% della ricerca mondiale, e se stiamo bene e viviamo più a lungo è grazie a questi investimenti. Ci sono fabbisogni sanitari pazzeschi sulle malattie più diverse, campi dove non c’è la cura definitiva. I nostri farmaci, fortemente regolamentati, hanno bisogno di 12 anni per arrivare sul mercato, con un costo di ricerca di circa un miliardo di euro. Fatta la registrazione europea, il problema poi arriva in Italia, che rivaluta tutto e poi decide sulla rimborsabilità. In questo processo, gestito dall’AIFA, è vietato ogni confronto tra i 12 esperti delle agenzie e i rappresentanti delle aziende. Un sistema ottuso! Gli esperti non possono essere ‘tuttologi’, e quindi ci sono dei buchi nelle competenze della Commissione Unica del Farmaco, gente scelta per motivi politici e anche per ‘assenza di conflitti di interessi’ con le aziende. Ma le aziende lavorano solo coi migliori, non come persone medie. Dopo la CUF tocca alle Regioni, dove le competenze peggiorano ancora. Serve quindi l’accesso delle aziende per spiegare il lavoro di ricerca fatto. Negli altri paesi si parte dal via libera dell’EMA (diretta dal prof. Rasi), l’autorità europea che definisce con le aziende già i protocolli di sviluppo clinici. Un’operazione anche a rischio per le aziende, ma necessario. Un lavoro che viene fatto a livello UE, ma anche in Spagna, Francia, Germania, ecc. Le autorità lì debbono incontrare le aziende per conoscere il farmaco. In Italia mi sono ritrovato di fronte un noto farmaco-economista che mi ha detto ‘ho letto su internet questa mattina che il vostro farmaco non è un granché’. Ecco ciò che ci ritroviamo davanti. Il dialogo, a livello nazionale e locale, è alla base di ogni processo. Basta poco”.
Dopo la Moroni ecco un altro esempio di revolving door con Simone Crolla, Consigliere Delegato dell’American Chamber of Commerce in Italy e per breve tempo deputato nella scorsa legislatura.
“Sono un lobbista, e non è una colpa. Lo sono perché nello statuto della mia organizzazione c’è scritto che devo fare gli interessi delle aziende americane iscritte, rappresentandole nei confronti delle istituzioni italiane. Vedo lobbisti in sala, ma secondo la legge Severino potremmo avere dei problemi di traffico di influenze! Corruzione e relazioni sbagliate non c’entrano nulla con la lobby, gli Appalti non c’entrano. Gli americani parlano infatti di ‘disclosure’, trasparenza. Ben venga quindi il Registro. Il rischio regolatorio in Italia è un documento dell’AmCham che abbiamo redatto con le aziende iscritte. Gli investitori sentono che il peso della regolamentazione è cresciuto in maniera esponenziale, e tutte sentono la necessità di dotarsi di lobbisti. Le aziende americane dicono che il decisore pubblico è il secondo maggior elemento ad influire il business. Si devono prevenire certi fenomeni. Perché non dovrebbe esserci un Albo dei lobbisti? Sono persone che rappresentano interessi in maniera trasparente. In America tutto ciò è previsto addirittura nel I Emendamento del Bill of Rights, la liberta di espressione [poi cita la frase apocrifa di Kennedy, Ndr]. Perché il Parlamento non ha mai preso una decisione? È la conseguenza della perdita di credibilità della politica, che non decide. La proposta Nencini è però un ottimo punto di partenza.”
Simone Bemporad (Direttore Comunicazione e Relazioni Esterne del Gruppo Generali).
“Il problema è culturale. Non si possono imporre regole che fanno parte di altre culture. Il presidente americano Ulysses Grant si riferiva alle persone che lo aspettavano nell'ingresso [lobby in inglese] dell'hotel Willardt di Washington come "quei maledetti lobbisti", probabilmente dando origine al termine come lo intendiamo oggi. Oggi il lobbista non rappresenta solo la grande impresa, ma ce l’hanno tutti, come in America, come ha ben spiegato podesta. Usciamo dall’astrazione negativa del termine. Serve ad avvicinare la politica alla società: si pensi a Greenpeace, potentissima dal punto di vista lobbistico sui suoi temi. Regolamentare le lobby è fondamentale, istituzionalizzarlo vuol dire al rispondere al bisogno di una politica più vicina ai bisogni della società. Cosa impedisce farlo in Italia? Intanto la trasparenza del processo decisionale a tutti i livelli. C’è il tema dei grandi valori condivisi oltre gli interessi particolari. L’ideologia prevale sempre. Ecco, recuperare – come fanno gli USA – certi valori condivisi diverrebbero un ostacolo ad ogni distorsione derivante dagli interessi particolari. C’è poi l’invadenza eccessiva della magistratura, al sua tendenza a criminalizzare. Difficile partecipare a dei sistemi in cui fare la compliance diventa un qualcosa su cui la magistratura poi accende i riflettori, come dimostrato da episodi su cui si sono aperte indagini senza bisogno o solo per bisogno di visibilità di alcuni. Un problema è anche l’incertezza del concetto di sanzione, che vanno applicate velocemente. Servirebbe forse un sistema con meno controlli non dovuti e sanzioni certe e veloci. Si ricordi che negli USA chi viola le regole finisce in prigione e in rovina. Il tema culturale è fondamentale. Cultura ce n’è poca e di regole ancora meno, proviamo almeno a partire da queste. Un ottimo esempio è quello delle autorità (Agcom, Agcm, Consob, ecc.) che decidono, ma non muovono un passo se non hanno prima sentito l’opinione dei soggetti su cui poi si riverserà la loro decisione. ”.
Prossima puntata a Milano, a dicembre, in cui Nencini annuncia che presenterà il primo “lavorato” di un organo costituzionale.